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Ozieri, quando lo sport è sinonimo d’integrazione

Il carattere cittadino del torneo “Free Time” 2016, anche quest’anno nel cartellone degli eventi culturali e sportivi dell’ “Estiamo in piazza” ozierese, non ha deprezzato il valore di una competizione in cui, tra i regolari confini dello Stadietto San Gavino, è in palio qualcosa di più: oltre alle molteplici implicazioni dello sport infatti – più etiche che fisiche – stavolta la partita si gioca tra accoglienza e integrazione.

squadra ozieriSi chiama “Black Chibudda” la squadra interamente formata da profughi africani, 10 dei 24 ospitati dalla Caritas diocesana nei locali dell’ex convento delle Grazie, che tra le 20 formazioni in campo, dai titoli spesso non meno bizzarri, si distingue per originalità prima ancora che per il colore della pelle: quel “black” che racconta le loro origini in lingua internazionale, unito al più noto appellativo degli ozieresi, rigorosamente dialettale, è un perfetto connubio tra identità e capacità di adattamento, con quel pizzico d’ironia che è servita a rompere il ghiaccio dell’esordio il 14 giugno scorso.

La formazione bianco-azzurra, sponsorizzata dalla SPES e da CSV Sardegna Solidale, non ha forse sfoggiato talenti cristallini al pari delle contemporanee dispute europee, ma ha mostrato contro i forti avversari del “Mesu ‘e Rios” una buona qualità di gioco che, pur senza vittoria, ha guadagnato loro un dignitosissimo debutto tra gli applausi del pubblico e il tifo dei sostenitori, con grande soddisfazione del mister Antioco Bellu e del coach Foday Danjo.

Larghi sorrisi anche presso gli operatori della Caritas, primi supporter del gruppo, che fin da subito hanno individuato nel torneo una validissima occasione d’integrazione: “Il calcio – sostengono da via Azuni – è un’ottima metafora dell’esistenza: nell’incontro sportivo c’è l’anticamera del confronto tra culture, stili di vita, consuetudini che possono arricchire le parti senza perdere le rispettive identità.” Del resto, è proprio su questo che già da anni lavora il presidio cittadino, non solo sul fronte dell’accoglienza e dell’assistenza necessaria (medica, psicologica, legale) ma particolarmente su quello dell’inserimento sociale, con la scuola di italiano, gli eventi in collaborazione con scuole e associazioni territoriali, piccole attività quotidiane in Caritas.

Per “i Black” quindi, aldilà dei luoghi comuni, è davvero importante partecipare ancor prima che vincere, poiché essere in partita è già un traguardo per chi, oggi più che mai, il mondo vuole relegare ai margini o fuori dal campo, senza neppure la speranza di puntare alla vittoria come una meta accessibile a tutti in una sana competizione alla pari, proprio come dovrebbe essere la vita nel nord e nel sud del mondo.

di Viviana Tilocca