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Oltre 700 partecipanti all’evento on line sulla 34ma Marcia della pace “La cultura della cura come percorso di pace”

Una “Marcia” atipica svoltasi ieri pomeriggio online ma non meno incisiva, con oltre 700 partecipanti collegati da tutta la Sardegna e da altre regioni italiane, per riflettere sul ruolo della Chiesa, attraverso la Caritas, e di tutto il mondo del volontariato nel costruire quella “cultura della cura come percorso di pace”, al centro del messaggio di Papa Francesco in occasione della 54ma Giornata mondiale della Pace (1 gennaio 2021).
Tanti gli spunti emersi, a partire dal messaggio dell’arcivescovo di Oristano e amministratore apostolico di Ales-Terralba mons. Roberto Carboni – che non ha potuto partecipare al webinar perché impegnato nella celebrazione dei funerali di un sacerdote venuto a mancare a causa del Covid – letto dal vicario generale della Diocesi di Ales-Terralba don Piero Angelo Zedda: l’invito è a «far “camminare i cuori e la volontà” per far mettere radici a un’idea di pace che nasce dalla “cultura della cura” e che deve trovare in ciascuno di noi un seminatore attento, un annunciatore di questa parola, che trova le sue prime motivazioni nel Vangelo e nell’insegnamento di Gesù».


L’importanza del ruolo della Chiesa diocesana, attraverso la Caritas, è stata richiamata dal sindaco di San Gavino Monreale Carlo Tomasi. Oltre a essa, fin dall’inizio della pandemia, l’intero «mondo del volontariato è stato in prima linea accanto a chi è stato colpito dalle “tante pandemie” – ha ricordato Giampiero Farru, presidente CSV Sardegna Solidale – : quella di chi è stato contagiato dal virus, di chi ha perso il lavoro, di chi si è trovato in una situazione di solitudine e povertà». Ancora, il ricordo dei volontari venuti a mancare per la pandemia e il ringraziamento verso quelli impegnati a Bitti – dove lo scorso 5 dicembre si è celebrata la giornata internazionale del volontariato – all’indomani dell’alluvione. L’importanza del volontariato e della gratuità verso il prossimo è stato richiamato da Mattia Pericu (presidente Centro italiano femminile Sardegna), da Luisanna Usai (presidente dell’associazione Domus Oristano), da Nanda Sedda (CSV Sardegna Solidale); e anche dagli intermezzi musicali affidati a Davide Moreno e Nicola Frongia.
Testimone della 34ema Marcia, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari, che ha ricordato come la pandemia abbia fatto emergere delle domande sul destino dell’uomo, le fragilità, e abbia offerto «un’occasione per comprendere la correlazione tra scelte individuali e bene comune». La cultura della cura «potrà affermare un percorso di pace solo se riesce a debellare la cultura dello scarto»: ecco allora che la pandemia diventa «un’occasione straordinaria di cambiamento». Ancora, l’etica della cura è legata al non poter fare a meno di osservare, conoscere il bisogno degli altri; solo così si scopre la propria unicità e ci si prende cura anche di se stessi: ciò implica «costruire la nostra società sul principio della solidarietà».
Quest’ultimo concetto ben si connette con quello della corresponsabilità, richiamato da don Marco Statzu, direttore della Caritas di Ales-Terralba: «La nostra azione deve tendere alla responsabilizzazione: all’interno della Chiesa dobbiamo essere non solo coloro che si prendono cura, ma coloro che promuovono il prendersi cura di se stessi e degli altri». E anche al di fuori dell’ambito ecclesiale «dobbiamo essere sentinelle di questa cultura della cura: ciò hanno cercato di fare le centinaia di operatori Caritas in questo anno, e questo vogliamo continuare a fare, in sinergia con tutti coloro che si occupano della cosa pubblica».
Tra gli interventi, quello del delegato regionale Caritas Raffaele Callia, che, richiamando il Papa, ha sottolineato che la pandemia «si ripercuote nella vita di tutti i giorni e interessa tutti allo stesso modo: da essa deve scaturire il dovere della solidarietà evangelica, civile e sociale. Qui «si inserisce lo stile di osservazione della Caritas regionale, con una serie di attenzioni e interventi che ci permettono di stare al passo con i tempi: la stessa definizione della Chiesa come “ospedale da campo” da parte di Papa Francesco ci indica quell’impegno di solidarietà nel senso più alto del termine, capace di prevenire e non solo di curare, di coniugare carità e giustizia».
Il binomio pace e giustizia è stato ripreso anche da don Angelo Pittau, presidente del Comitato promotore della Marcia della pace, con lo sguardo globale alle diseguaglianze, allo sfruttamento della terra, ai conflitti nel mondo – richiamati anche dal Papa lo scorso 25 dicembre -, alle migrazioni forzate: «Mentre il nostro cuore si è indurito lasciando che il “Mare nostrum” inghiottisse tanti che per sfuggire alla guerra e alla fame si sono abbandonati alla fuga in barche diventate bare, l’Africa è diventata un continente di disuguaglianze, miseria e lotte fratricide che non risparmiano nessuno: conflitti provocati dall’imperialismo mondiale che la sfrutta, rendendola prigioniera delle banche internazionali, spegnendo la speranza dei suoi giovani. Noi amiamo l’Africa. Abbiamo imparato ad amarla in Ciad, in Tanzania, in Camerun, nel Mali, amiamo ogni terra dell’Africa, ogni popolo. Per questo gridiamo “Pace all’Africa” ».

A cura di Maria Chiara Cugusi e Stefania Pusceddu