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Le Caritas diocesane sarde al 44° Convegno nazionale

Anche le Caritas della Sardegna hanno preso parte al 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, tenutosi a Grado dall’8 all’11 aprile 2024, dal titolo “Confini, zone di contatto e non di separazione”.

L’evento ha visto la partecipazione complessiva di 613 membri (di cui 138 giovani), tra direttori e componenti di équipe provenienti da 182 Caritas diocesane di tutta Italia. Dalla Sardegna hanno preso parte in tutto 34 partecipanti, provenienti da tutte e dieci le diocesi dell’Isola.

Negli “orientamenti” finali il direttore della Caritas Italiana, don Marco Pagniello, ha formulato le proposte di lavoro per continuare il cammino delle Caritas diocesane nei prossimi mesi. Richiamandosi al primo presidente della Caritas Italiana, mons. Giovanni Nervo, don Marco Pagniello ha ricordato l’importanza di capire dove «poniamo i confini», che per le Caritas non sono dei limiti bensì delle «zone di contatto», «luoghi in cui fare l’esperienza della presenza di Dio».

«Passare i confini è il vero gesto profetico e rivoluzionario per il cristiano del XXI secolo».

Mi sembra di poter interpretare così il senso e il dono ricevuto dalla partecipazione al 44° convegno nazionale delle Caritas diocesane, organizzato dalla Caritas Italiana a Grado nelle scorse settimane.

Il tema scelto quest’anno era “Confini, zone di contatto e non di separazione”. L’evento ha visto incontrarsi e confrontarsi per quattro giorni 613 tra direttori e membri di équipe provenienti da 182 Caritas diocesane di tutta Italia. Tutte le diocesi della Sardegna hanno mandato una loro delegazione.

Negli “orientamenti” finali il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, ha indicato le proposte di lavoro per continuare il cammino Caritas nei prossimi mesi. Richiamandosi al primo presidente di Caritas Italiana, don Giovanni Nervo, ha ricordato l’importanza di capire dove «poniamo i confini», che per Caritas non sono dei limiti, ma delle «zone di contatto», «luoghi in cui fare l’esperienza della presenza di Dio perché ci permettono di aprirci agli altri e di capire che c’è Qualcuno che può fare prima, durante e dopo il nostro servizio».

I confini sono stato un tema caldo e diviso in quelle zone: abbiamo potuto vedere e toccare quanto la linea di separazione tra stati fosse artificiale rispetto alla distribuzione delle nazioni e dei popoli che da secoli abitano quelle terre.

In fondo ogni linea è in qualche modo artificiale quando viene tirata per interessi economici e politici: l’Europa ne ha fatto tragicamente le spese nelle due guerre mondiali del secolo scorso e fino a pochi decenni fa, quando ancora un muro nella piazza principale di Gorizia, separava la Slovenia dall’Italia.

La ferita è ancora viva tra le persone, ma le giovani generazioni sono ormai abituate alle relazioni ibride, parlano spesso più lingue, hanno nel loro sangue antenati che vengono da luoghi diversi.

Dunque, passare i confini è il vero gesto profetico del cristiano del nostro tempo: non sembrino retoriche queste parole. Infatti, confine e separazione era quello che divideva Dio e uomo, ebrei e pagani, uomini e donne. Gesù ha varcato ogni confine, abbattendo ogni muro di separazione per riconciliare e redimere.

E se vogliamo questo è proprio l’aspetto operativo e dinamico della salvezza: un passaggio (non a caso: Pasqua!) che occorre compiere ogni volta che incontriamo una persona, che entriamo nella sacra terra altrui con rispetto e desiderio di imparare e non di carpire.

Anche le nostre Caritas non possono non muoversi in questa direzione: continui attraversamenti di confine sono quelli che ci vengono richiesti all’interno e all’esterno della Chiesa. All’interno tra fedeli laici, presbiteri e religiosi/e, tra uffici e servizi pastorali, tra parrocchie, coi movimenti e le associazioni.

All’esterno, con quelli che de-finiamo “laici”, con quelli che de-finiamo poveri, con quelli che mettiamo in ogni confine possibile, dimenticandoci che la Pasqua di Gesù cristo ci ha resi tutti fratelli e figli di un solo Padre.

Pertanto occorre ripartire da questo desiderio di incontrare l’altro, attraversando confini culturali, economici, politici, non per eliminare le differenze, bensì per valorizzarle.

E facciamo questo non con l’ingenuità di chi non vede che ogni differenza produce anche una distanza, ma con la fiducia di chi sa apprezzare la differenza come fonte di crescita e di miglioramento.

Del resto le cose migliori che abbiamo ancora oggi sono nate da questa sapiente miscela di culture diverse, lingue diverse, persino DNA diverso.

Sapremo fare tesoro di questa sfida anche nella nostra Isola? Noi crediamo di sì, ed è per questo che riprendiamo il cammino nelle nostre diocesi, nei nostri servizi, per la strada, nelle comunità cristiane con il desiderio di incontri che ci cambino la vita, con l’ansia di costruire strade e ponti tra noi, che abbattano l’incomunicabilità diabolica che pensa di salvarsi da sola e di non aver bisogno dell’altro.

Non ci nascondiamo le difficoltà, ma confidiamo che lo Spirito Santo che invochiamo in questo tempo pasquale continuerà a soffiare e a scaldare, perché dalla babele umana nasca sempre la comunità con un cuore solo e un’anima sola.

DON MARCO STATZU

delegato regionale Caritas